I bambini imparano a comunicare dalle loro interazioni con gli altri. Sebbene tale affermazione possa sembrare un’ovvietà, un evento naturale che si manifesta sotto i nostri occhi ogni giorno, apre la strada ad una più profonda riflessione: quanta importanza ha effettivamente lo sviluppo delle capacità relazionali sulle abilità di comunicazione e sul linguaggio? Cosa succede al linguaggio nei bambini con difficoltà nella sfera relazionale?

Ogni bambino con sviluppo tipico nasce predisposto ad essere recettivo e sensibile al linguaggio; anzi, lo è già nel corso della sua vita intrauterina. Tuttavia, questa attitudine potrebbe non tradursi in abilità se questi stessi bimbi non fossero costantemente stimolati dal mondo sociale.

Sin dalla nascita, i neonati sono interessati ai volti e reagiscono alle voci e ai rumori. I bambini piccoli mostrano una predilezione per gli stimoli sociali e già poco tempo dopo la nascita eseguono movimenti prelinguistici della lingua e delle labbra in risposta alle parole del genitore.

Diversi studi dimostrano che i bambini, ancora piccolissimi, manifestano una preferenza a fissare più i volti umani che gli altri stimoli visivi. Ciò è tangibile se si considera quanto precocemente i neonati imparino a distinguere i volti dei propri genitori da quelli degli altri.

Anche i primi atti comunicativi (il pianto) trovano risposta nella relazione con gli altri. Il bambino impara sin da subito il valore dei propri atti comunicativi: in seguito al pianto accade qualcosa, le persone che si prendono cura del bambino mostrano una reazione e danno una risposta.

Tutte le successive fasi che portano allo sviluppo della comunicazione e del linguaggio vengono raggiunte grazie alle relazioni interpersonali e si esplicano all’interno delle stesse. Tra i sei e i nove mesi, ad esempio, i bambini iniziano a prendere confidenza con la propria voce. È la cosiddetta fase della lallazione (babbling) durante la quale il bambino imita i suoni prodotti dagli adulti e “risponde” vocalmente ai comportamenti degli interlocutori.

Ancora un esempio: tra i nove e i dodici mesi i bambini sviluppano i gesti per comunicare. Sono quasi pronti a parlare e, mentre affinano le competenze che gli permetteranno di farlo, diventano abilissimi comunicatori, dei veri e propri “mimi”. I gesti, che i bambini imparano stando con gli altri ed imitando gli altri (come fare “ciao” con la manina), hanno un valore ben preciso: servono per veicolare un messaggio specifico ad un referente specifico.  I bambini iniziano così a manifestare una vera e propria intenzionalità comunicativa che ha senso di esistere, ancora una volta, nelle relazioni sociali.

Tutto ciò ci dimostra quanto lo scambio affettivo, relazionale e comunicativo tra bambino e genitore, sin dalla nascita, abb
ia un effetto significativo sullo sviluppo globale del bambino ed incida positivamente sull’apprendimento prelinguistico e linguistico.
I bambini con difficoltà relazionali hanno meno possibilità di ricevere informazioni dagli altri e di apprendere le modalità comunicative dalle occasioni sociali; allo stesso tempo, hanno generalmente loro stessi meno interesse ad utilizzare la comunicazione per godere di uno scambio relazionale. Entrambi questi fattori, sebbene espressi in modo semplicistico, incidono evidentemente sullo sviluppo delle abilità comunicative e linguistiche rendendo più macchinoso e difficoltoso l’apprendimento del linguaggio. L’intervento logopedico, che in questo caso risulta quasi sempre necessario, ha come punto di partenza proprio quello di incitare gli scambi relazionali senza i quali non possono esserci scambi comunicativi di valore.